domenica 16 febbraio 2014

La roggia della Sega


La casa dello stazio lungo la ex
strada Marostegana


Planimetria della località di Trentunmozzo rilevata dal
perito vicentino Bortolo Villanova il 30/01/1804




In questo edificio viveva il
guardiano e l’ultimo di cui si è
tramandata la memoria è stato un
certo Spergolotto, vissuto alla fine
del 1800.
Qui i pastori sostavano durante la
transumanza, in particolare nel
periodo della fiera di San Valentino
a Pozzoleone; durante la sosta, le
pecore brucavano vicino al Brenta
perché c’era molta erba che
cresceva spontaneamente. Un altro
momento di sosta avveniva alla fine
di settembre quando il bestiame
tornava dall’altopiano di Asiago.
C’era anche un’osteria con alloggio
e, fino a settant’anni fa, una bottega
dove si vendevano prodotti di vario
tipo, dagli alimentari, al chinino
contro la malaria e tutto ciò che
serviva durante la transumanza e
l’alpeggio nell’altopiano.
Lo stazio come si presenta oggi.

L’acqua della roggia della Sega, un
tempo, serviva per far azionare la ruota
idraulica e gli ingranaggi della locale
segheria.
Il canale della Sega comunica, attraverso
il mezetto (un canale costruito per far
defluire le acque in eccesso del canale
della Sega) con la roggia Contarina, in
direzione ovest. In particolare, alla roggia
Contarina confluivano 2 quadretti
d’acqua, ossia 0,145 metri cubi d’acqua
al secondo.
Alla roggia della Sega andava a terminare
il suo corso l’acqua di una risorgiva,
chiamata Fontana della Sega, e tutti
pensavano che da essa sgorgasse acqua
curativa .
Bibliografia:
Grantorto, profilo storico di una comunità, a cura di Sante Bortolami
Fonte orale: Sig. Pietro Cappellaro di Grantorto
Area del Brenta in cui una
volta approdavano le zattere.
La contrada di Trentunmozzo.

Lungo la strada dello stazio c’è la contrada
della Sega; qui c’era il forno, le cui famiglie si
davano il turno per cuocere il pane; ogni
famiglia teneva da parte una pagnotta cruda e
non lievitata da passare a chi avrebbe cotto il
pane il giorno seguente; essa veniva sciolta in
acqua e allungata con la farina, si faceva
lievitare 5 o 6 ore prima di essere infornata.
Proseguendo per la strada dello stazio, ci si
dirige verso il bacino di Finesso dove una volta
non c’era acqua. Poco più avanti c’è il luogo in
cui un tempo c’era il porto delle zattere.
Le zattere erano le “taje” provenienti dalla
montagna, legate tra di loro in modo da
assumere la forma di una zattera. Sopra di esse
i zatterieri sistemavano la tenda e mangiavano
durante il viaggio sul fiume Brenta.
Le zattere acquistate venivano trasportate alla
locale segheria con i “carrimatti” che erano
carri particolari senza fondo, con due ruote e
con a lato due bracci per sostenere le taje.

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